La memoria negata del confine nord-orientale
La difficile situazione del confine nord-orientale italiano dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, i quasi trecentomila esuli e le migliaia di giuliano-dalmati arrestati e uccisi. Questo il drammatico prezzo pagato a causa, da una parte, delle politiche di italianizzazione forzata volute dal regime fascista, dall'altra dalla volontà espansionistica della Jugoslavia di Tito.
Scelte politiche che hanno determinato un esodo imponente, di circa un quarto di milione di persone, che si rifugiarono nelle località più diverse della Penisola o che scelsero la via dell’emigrazione oltreoceano. La fuga delle comunità italiane è da intendersi come una vera e propria espulsione di massa, una migrazione forzata motivata dall’esposizione a persecuzioni di natura personale, politica, etnica, religiosa ed economica.
Ne parliamo venerdì 7 febbraio alle ore 21,00, a ridosso del Giorno del Ricordo, con Gianni Oliva. Storico, politico e giornalista, Oliva ha scritto diverse pubblicazioni sul tema, tra cui "Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria" e "Esuli. Dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume, Dalmazia".
Interviene anche Antonio Vatta, Presidente del Comitato Provinciale di Torino dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Fondata nel 1947, l’Associazione è la maggiore rappresentante sul territorio nazionale degli italiani fuggiti dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia al termine della seconda guerra mondiale. Impegnato affinché si mantenga la memoria di quella triste pagina di storia, il gruppo fa del Giorno del Ricordo un momento di riflessione importante per tutta la Nazione, al fine di utilizzare gli eventi del passato come monito da cui trarre insegnamento per vivere nell’oggi.
Le spinte che determinarono quell’imponente flusso migratorio, che vide la partenza della quasi totalità della componente italiana allora presente nelle ex Provincie di Zara, Fiume, Pola, Gorizia e Trieste, furono fondamentalmente di natura politica. L’esodo giuliano-dalmata può essere riferito a quello più generale degli spostamenti forzati di popolazione avvenuti in tutta l’Europa centro-orientale nei due dopoguerra, a seguito delle crisi innescate dalla dissoluzione dei grandi imperi e dalla loro sostituzione con Stati interessati a perseguire il raggiungimento dell’uniformità etnica all’interno dei loro confini.
L’oppressione pressoché totale delle comunità italiane si deve sicuramente all’animosità maturata da sloveni e croati per la durissima politica fascista di italianizzazione del territorio, ma il perpetuarsi e l’acuirsi degli atteggiamenti persecutori rimanda all’altrettanto forte volontà di annientare un gruppo etnico percepito come “nemico storico” del nazionalismo sloveno e croato. Le brutalità hanno dunque motivazioni politiche e di odio etnico: affinché venga riconosciuta la sovranità di Belgrado su tutto il territorio giuliano è necessario eliminare coloro che possono difenderne l’italianità, legittimarsi come forze moderate di fronte agli Alleati, essere portatrici di un pensiero dissidente. In questo clima drammatico di violenza e di accuse affonda le sue radici la strage che ha colpito un numero tuttora imprecisato di italiani, circa novemila persone, prelevati dalle proprie case, uccisi senza processo, gettati nelle foibe.
Degli eccidi e dell’esodo di massa dalla Dalmazia e dall’Istria non si è sentito parlare per lungo tempo in Italia. Un colpevole silenzio internazionale, di partito, di Stato, ha gettato una patina di oblio su queste vicende. Il Giorno del Ricordo, istituito nel marzo del 2004, intende soffermarsi su questo tema, riportarlo all’attenzione dei più. Il Museo Regionale dell’Emigrazione si inserisce all’interno di questo contesto con un relatore di altro profilo, Gianni Oliva, per non dimenticare il passato e vivere in maniera più consapevole il presente.